Il mondo ha celebrato la Giornata del migrante e del rifugiato, quei minori stranieri cui il Papa si è rivolto con un accorato appello, rischiano di morire di freddo in Serbia: che è ormai la loro ultima frontiera. 1700 persone vivono da mesi negli stabili abbandonati della stazione, dove la temperatura scende a quindici gradi sotto lo zero. “Sono partito da solo, mio fratello è a Parigi, vorrei raggiungerlo ma per ora è impossibile”. Stretto in una lunga coperta grigia Bilal, sedici anni e uno sguardo da bambino, cerca di scaldarsi intorno al fuoco insieme ad altri ragazzi, poco più che adolescenti come lui. Partito dall’Afghanistan per arrivare in Francia si trova bloccato qui insieme ad altre 1700 persone, nel cuore di Belgrado. Gli hangar dietro la stazione degli autobus sono la sua casa, gli altri ragazzi che vengono da Pakistan, Iraq e Siria, la sua nuova famiglia, un angolo dell’ ampio stanzone, che condivide con 300 persone, la sua stanza. “Fa troppo freddo, ci servono più coperte, abbiamo solo il fuoco per scaldarci. Non basta, non ci basta”. Mentre il mondo si prepara a celebrare la Giornata del migrante e del rifugiato, il prossimo 15 gennaio, quei minori stranieri a cui il Papa ha deciso di dedicare la celebrazione quest’anno rischiano di morire di freddo in Serbia: che è ormai la loro ultima frontiera. Nel paese, secondo i dati dell’Unhcr, ci sono in questo momento circa settemila persone bloccate sulla rotta dei Balcani: la maggior parte sono migranti in transito che vorrebbero raggiungere il Nord Europa. Circa duemila vivono negli stabili abbandonati della vecchia stazione ferroviaria della capitale serba. “Alcuni hanno fatto domanda d’asilo nel paese ma gli è stata rifiutata, altri hanno documenti di espulsione, ma una volta arrivati qui non vogliono tornare indietro, altri ancora non sono mai stati registrati – spiega Andrea Contenta, di Medici senza frontiere Serbia -. Ci sono poi alcuni casi di persone che erano riuscite a passare il confine e sono state rimandate indietro, per la legge di Dublino, in Bulgaria. Ora sono tornati qui seguendo questo assurdo gioco dell’oca dei migranti”. L’operatore di Msf racconta il caso di alcuni profughi che per sei mesi sono stati ricoverati in Austria, per malattie croniche gravi e adesso sono di nuovo qui in Serbia: “si ammaleranno un’altra volta”, dice.
(Da Redattore Sociale)